CRONACA AFFETTUOSA DI UN AMORE RITROVATO

 

IERI E OGGI SUL PO

 

Il più grande fiume d’Italia nei ricordi di chi è nato sulle sue rive.Come era e come è.

Quando muore la spingarda.Arrivano i barbari.Tradizioni che scompaiono e cultura

Padana.

 

Testo di Roberto Gatti 

 

 

Frugando nell’archivio della rivista mi sono imbattuto in alcuna vecchie e belle foto del Po. Però, per pubblicarle, ci voleva un commento!

Ho ripensato ai miei natali padani, alla mia origine venatoria sul Fiume, alla mia recente rivisitazione di quei luoghi. Perché non provarci?

 

Andare per Po

  Era cosa non facile. Un’arte, frequentemente sconosciuta anche tra coloro che ne abitavano le sponde. “Andare per Po” voleva  dire saper usare una lunga pertica appena allargata a pala nella parte terminale, munita di una solida ferratura forcuta, e con questo attrezzo governare una barca a fondo piatto,lunga e stretta. Voleva dire saper trovare l’approccio giusto con l’acqua: un approccio

Condiscendente, solo talvolta imperioso, che tenesse conto della corrente, della diversa conformazione delle rive, degli ostacoli sommersi, del vento,delle variazioni di livello dell’acqua

E di tante altre cose ancora.

   Questo prima.

   Poi è arrivato il consumismo.

Nessuno è andato più per Po. Lo  hanno soltanto aggredito con i motori fuoribordo che violentano le acque, le inquinano, manomettono i fondali, producono un rumore assordante e, peggio, hanno dato a chiunque l’arroganza del conquistatore.

   Parliamo allora un poco di questi vecchi barcaioli che hanno costruito un pezzo della nostra cultura di popolazione rivierasca.

   Questi personaggi affascinavano molto me, ragazzo. Vedendo staccarsi una barca dalla riva, immaginavo le avventure che avrebbero potuto vivere i suoi occupanti. Ed io avevo sete di avventura, come tutti i ragazzi, del resto, e non potendo essere protagonista, ma sperando di diventarlo, mi avvicinai a quel mondo.

   Come? Frequentandone il luogo di culto: la baracca.

   La baracca classica dei  cacciatori era una piccola casa costruita su un barcone galleggiante. Punto di riferimento per chi partecipava in qualche modo alla vita del fiume ( come credo fosse il “casone” nel delta del Po), la baracca era aperta a tutti quelli che avevano notizie da portare o, semplicemente volevano fare quattro chiacchiere; aperta a tutti quelli che , d’inverno, avevano bisogno di scaldarsi. Era però anche il rifugio, un tantino misterioso, dei …”pirati del Po”.

   Così, infatti, venivano definiti, con una punta di ammirazione, coloro che vivevano del Fiume.

“Pirati” perché partivano con le loro imbarcazioni e, specie quando le acque erano in piena, ritornavano con ogni sorta di “bottino”: legname, alberi portati dalla corrente, oggetti strappati dalle acque chissà dove e chissà a chi, persino gruppi di pecore sbrancate da qualche gregge al pascolo nella golena.

   Il Po sapeva essere generoso in certe occasioni ed “andare per Po” voleva dire anche diritto di approfittare delle occasioni…

   Chi sapeva affrontare il Fiume e possedeva un’imbarcazione spesso diventava cacciatore di mestiere, pagato da qualche benestante che, a volte,  più per prestigio che per passione, era titolare di una “caccia”.

   Dai  Santi fino alla fine di marzo la “caccia” era in funzione. In aprile poi, i più abili tra i barcaioli cominciavano a preparare il tratto di pesca per gli storioni che, a maggio, risalivano la corrente del Fiume.

   L pesca si svolgeva con grandi reti a strascico trainate da due barche che    “chiudevano” il pesce

Nell’acqua bassa sulla punta di un isolotto. Qui si lavorava di arpione e si issava il grande pesce sull’imbarcazione.

   Da tempo è ormai tutto finito.Uccelli ne passano sempre di meno e le Regole della caccia  “moderna” hanno stravolto tutto.

   Il pesce non risale più la corrente perché è stato costruito uno sbarramento dell’Enel a valle di Piacenza ed il progetto di costruzione di una scala di rimonta giace da trent’anni non realizzato.

   Non esistono nemmeno più le piene perché l’alveo è stato rapinato dei suoi ghiaioni, le acque vengono massicciamente prelevate, il corso del Po viene, ogni giorno, sempre più canalizzato e cementificato.

   Non so se questo sia giusto o sbagliato, ma so che ha cambiato le regole del gioco.

 

Caccia sul Po

   Ho detto che quel mondo mi attirava e, conosciutolo più da vicino, cercai anche di imparare la caccia sul Po.

   Governare la barca era il primo gradino, poi veniva….l’Università: avvicinare gli uccelli ( nel linguaggio del fiume tutti i palmipedi erano “uccelli”) con il barchino da caccia( pesìn), seduti

Sul fondo e nascosti da un piccolo schermo, con in mano una paletta e, con essa, non solo governare l’imbarcazione, ma anche cercare di persuadere la selvaggina a non fuggire.

   Il 15 agosto (la Madonna di agosto) il cacciatore piantava alcuni  “stampi” nel posto scelto per la caccia (più o meno lo stesso di ogni anno con le uniche varianti che i capricci del Fiume rendevano necessarie). Quella era la “sua caccia” e gli altri lo avrebbero rispettato evitando di procurare disturbo anche nel corso di altre attività come quella di andare a legna, di andare a pesca o, semplicemente, di trovarsi da quelle parti.

   La caccia aveva una sua importanza, un posto preciso nella realtà sociale del Po, il cacciatore era

Considerato persona rispettabile.

   Io mi ero guadagnato la posizione di cacciatore apprendista e non appena avevo un attimo di tempo , ero sul Fiume a governare le anatre da richiamo, gli stampi, ad asciugare il barchino, a controllare gli ormeggi della baracca. In occasioni speciali il premio era potermi stendere a prua e tirare con la spingarda.

   Intanto prendevo dimestichezza con la caccia ed annotavo mentalmente tutti i consigli e tutte le osservazioni che il cacciatore mio maestro mi forniva.

   Ero ansioso di potermi sedere io stesso a poppa con in mano la paletta.

   E il giorno venne! Ma, subito dopo, venne anche abolito l’uso della spingarda.

 

 

La spingarda

   Erano gli anni ’70, gli anni in cui, studente,partecipavo alla contestazione e, cacciatore, mi sforzavo di capire il motivo per cui si doveva rinunciare ad un “privilegio” come la caccia con la spingarda, in modo che vi fosse spazio per tutti di cacciare liberamente nei terreni demaniali. Venne sacrificata questa forma di caccia in omaggio alla demagogia, proponendo come “cacciatore buono”

Quello “sportivo” che tirava a volo.

   Molti approdarono sul Fiume con motori fuoribordo, fucili automatici, capanni  (cosa sconosciuta sul tratto di Po dove sono nato e cresciuto), persino botti (miseramente abbandonate alle prime variazioni di livello dell’acqua), “fonofil” ed altre invenzioni proposte da compiacenti imbonitori dell’industria della caccia e conosciute attraverso la pubblicità sulle riviste.

   I vecchi cacciatori si ritirarono in buon ordine e appesero al chiodo la spingarda così come avevano appeso le reti per gli storioni, da quando essi non potevano più risalire la corrente del Fiume.

   A quei robusti chiodi venne appeso anche un pezzo  importante della nostra cultura padana: la cultura della caccia.

   Fui tra coloro che continuarono la caccia nel  modo tradizionale sostituendo la spingarda con il

fucile. Non potevo smettere, avevo appena cominciato!

   Mi accorsi presto che la spingarda non era soltanto un lungo tubo di acciaio con una culatta entro cui era alloggiato un percussore, ma era una specie di vestale della caccia sul Fiume che serviva soprattutto a tenere lontano i “barbari”.

 

Arrivano i barbari

   Per carità, non voglio tessere le lodi di una caccia ormai anacronistica qual è quella con la spingarda né tanto meno riproporla, ma soltanto riflettere sulla ragione che l’ha fatta scomparire.

   Negli anni ’60 è stato introdotto il concetto di caccia “sport di massa” e molti sono stati coloro che si sono riversati sul Fiume in cerca di un’evasione. Per costoro non potavano certo valere le regole non scritte  che avevano governato le attività di chi sul Po e del Po viveva.

   Anzi, questi ultimi venivano considerati alla stregua di “stravaganti personaggi” che, tutt’al più,

potevano essere fotografati per essere mostrati agli amici.

   Il turismo, si sa, trasforma la cultura in folklore.

   Così il barcaiolo che partiva con la sua imbarcazione per raccogliere legna durante una piena del Fiume e “marcava” con un ramo scortecciato l’albero ritrovato ed ancorato, in attesa di ritornare

Per trasportarlo, subiva il furto di questo…suo bene da parte di qualcun altro che, munito di una barca a motore, andava a cercare un’emozione nuova nel fare legna per il caminetto.

   Per il cacciatore era ancora peggio: anitre da richiamo fucilate perché scambiate per selvaggina, stampi bucati per provare la potenza di nuove cartucce corazzate, uccelli spaventati, mentre sembravano voler venire nella caccia, perché sparati fuori tiro soltanto per provare l’emozione di sparare ad un’anitra o con lo scopo dichiarato di voler disturbare chi altrimenti avrebbe potuto avere fortuna.

   Ecco perché ho parlato di barbari. Perché si è distrutta una cultura, come per compiere un rito sacrificale senza che vi fosse alcun vantaggio reale per chi questo rito follemente celebrava.

   Non sono aumentate le  anitre che anzi, ormai troppo disturbate, diventano preda sempre più rara

Per i troppi cacciatori; sono progressivamente andate scomparendo molte specie di pesci; sono state sempre più depauperate le rive perché non ci sono nemmeno più coloro i quali, anche per il loro interesse, le presidiavano.

 

Lo spirito del fiume

    Scomparsa la spingarda dalla prua del barchino, scomparvero anche il rispetto reciproco dei cacciatori, le regole morali nei confronti del Fiume e della sua selvaggina, la tecnica che  ne aveva fatto una caccia molto specializzata e per questo “esclusiva; infine, scomparvero…i cacciatori.

   Non esistevano più cacciatori con i quali valesse la pena di parlare, né tanto meno di incontrarsi; cosa potevo fare? Il sopravvissuto? Me ne andai anch’io.

   Me ne andai con una certa animosità verso il Po, pensando che mi avesse in qualche modo tradito.

   Sbagliavo perché me la prendevo con il  vecchio Spirito del Fiume che, a sua volta, era stato sconfitto. Lui non aveva colpa. Come tutti i forti era stato sconfitto, ma non sottomesso ed osservava distaccato i tempi che procedevano, così come continuava a fluire la sua corrente.

   Di questo mi sono accorto soltanto molto più tardi, quando ormai pensavo che non sarei più tornato sul Po.

   Ma a volte basta una persona, una frase, per risvegliare un interesse. Non volevo crederci, ma sono stato condotto a verificare che esistono ancora i tramonti sul Fiume, le giornate di burrasca, il verde tenero dei salici a primavera.

   Ho cominciato di nuovo